Note sul film

Nascita e sviluppo del romanzo
Durante tutto il periodo degli studi di Filosofia all’Università Statale di Milano, la pratica che riempiva maggiormente il mio tempo era la scrittura.
Ipernova ha visto la luce nell’agosto 2013. In quel periodo mi trovavo a casa della mia famiglia, sul Lago Maggiore, a riposo per un intervento chirurgico preventivamente spostato durante il periodo estivo per non compromettere lo studio e il lavoro. In sostanza, ero molto stressato: impossibilitato al movimento, vincolato nella mia stanza. L’assunzione di farmaci a base di morfina alleviavano il malessere mentale (quello fisico era insopportabile) del caldo isolamento. Qualche mese prima, durante l’inverno, avevo acquistato per pochi euro una macchina da scrivere Olivetti Lettera 32, di colore verde acqua. L’avevo portata con me al lago maggiore sotto consiglio di mia madre, ex segretaria nel periodo in cui le Olivetti erano il top di gamma negli uffici. Dopo qualche giorno di lezioni mirate sull’uso della macchina, divenne più stimolante della tastiera del computer. I tasti duri e ferrosi imprimevano le parole sulla carta in maniera precisa e ritmata: iniziai a ricevere lamentele da parte dei vicini per il frastuono notturno che provocavo durante le sessioni di scrittura più lunghe.

Avevo un’idea che partiva da una parziale autobiografia, da quello che mi stava capitando in quel momento: l’operazione, la fine di una relazione amorosa; sentivo la necessità di scrivere una crisi esistenziale in chiave romanzata, forse per esorcizzarla. Inventai il personaggio principale, Jim. Mentre prendeva forma, gli altri personaggi lo aiutavano ad ambientarsi in quello che sembrava a tutti gli effetti un misto tra il nostro presente, un passato arricchito dall’uso di apparecchiature obsolete (fax, telefoni con i fili, autovetture d’epoca) e un futuro cyberpunk, con il tema del viaggio spaziale: il mondo in cui si trovavano i personaggi era sconfinato, gli abitanti vivevano in “zone”, gli spostamenti tra queste zone erano veri e propri viaggi con navicelle spaziali. Le influenze di quel periodo arrivavano dalla musica rock-psichedelica degli anni settanta, dai libri appartenenti alla Beat Generation: Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac, Neal Cassady e le varie sperimentazioni dadaiste dei grandi William S. Burroughs e Brion Gysin. Nel 2013 gli studi di cinema non erano ancora iniziati ma la passione per i film era presente fin dalla prima infanzia, da quando ne ho memoria: Il pasto nudo di David Cronenberg divenne un pilastro importante per l’atmosfera del romanzo. Il film è del 1991, il libro omonimo di William Burroughs del 1959. Sono convinto che decidere di realizzare un film di finzione per Cronenberg divenne una vera e propria sfida, in quanto il libro è un cut-up dei deliri di Burroughs in un momento molto confuso della sua vita, in esilio a Tangeri, nord Africa. Il regista è riuscito a re-interpretare la non-narrazione del libro collegandone la biografia dell’autore e i personaggi narrati nelle pagine. Il risultato è un’opera che si discosta completamente dal suo predecessore cartaceo ma senza mai abbandonarlo definitivamente.
Finita l’estate Ipernova contava circa un centinaio di pagine battute a macchina da scrivere. Una volta guarito e rientrato nella grigia Milano, iniziai a ribattere a computer le pagine scritte, dando un ordine cronologico al racconto, una divisione in capitoli e sottocapitoli. Andai avanti con la scrittura giornalmente, quasi come un diario, narrando i vari viaggi dei personaggi. Avevo ricreato i luoghi in cui mi spostavo, dandogli dei nomi nuovi: L’università Statale è una Zona chiamata i pilastri della conoscenza, le Colonne di San Lorenzo i pilastri della creazione, Amsterdam la sfera celeste, il quartiere dei navigli la Zona lussuria, la casa dove abitavo in quel periodo la Zona base, l’ospedale San Paolo la Zona asettica, la Torre Velasca è La Torre apocalittica. Anche alcuni oggetti di uso comune avevano mutato forma e nome nel romanzo: il computer è la finestra dell’etere, le comunicazioni che il protagonista riportava ai padroni della zona sono tramite fax battuto a macchina da scrivere. Le droghe assunte dal protagonista sono il siero, oggetto importante per tutta la narrazione e il 23kid capace di alterare il tempo. Le minacce che incombono sono delle Nebulose: agglomerati di polvere, idrogeno e plasma, vaganti nello spazio, in dirittura di arrivo verso la terra. Andando avanti con la stesura e la messa a punto dei capitoli, l’atmosfera prendeva una direzione politica di forte critica verso la società dell’informazione. Nell’ultima Zona dove Jim completa il suo viaggio, troviamo la presenza incombente della Torre Apocalittica (la Torre Velasca, piazza Velasca 3/5, Milano). Il protagonista comprende che tutte le sue azioni sono state decise a tavolino, dai signori della Torre, razza aliena che ha parcheggiato il proprio quartier generale nella Zona, rendendo schiavi gli abitanti alterandone le informazioni. Controllo e manomissione sono le regole ferree con le quali i potenti alieni governano le menti e alterano le visioni.
Così come per Il pasto nudo di Cronenberg, ho voluto intromettere molti elementi appartenenti al reale quotidiano, come la macchina da scrivere e il romanzo stesso. Alle porte del terzo capitolo, Jim prende possesso della stessa Olivetti con cui è stata scritta la sua storia. Sotto consiglio del personaggio Evey, Jim inizia un resoconto delle sue azioni che invia per fax ai signori Torre Apocalittica. Una mise en abyme interna in cui reale e fiction comunicano, auto-alimentandosi.

 

Incipit

“Un viaggio nella mente di Jim, persona solitaria che nasconde un passato turbolento. Di circa trent’anni, tecnico informatico, disoccupato, scrittore, a tempo perso, figlio di famiglia medio-borghese, tossicodipendente moderato con accanto una banda di amici matti come lui. Il suo carattere sensibile vive in contrasto con il suo lato oscuro che in passato gli ha causato uno shock dal quale non si riprenderà̀ più̀. Il film si apre nel momento in cui questi incubi del passato lo tormentano a tal punto da non distinguere la realtà dai suoi deliri. Lo osserviamo nei primi momenti lottare contro il suo inconscio, nel viaggio onirico che compie durante l’assunzione del “siero”, una droga procuratagli dal suo fidato amico spacciatore, il dottor Duane. Il siero una volta assunto, è capace di cambiare drasticamente l’aspetto del suo corpo. La speranza di Jim nel cambiamento fisico si mescola con il desiderio di un rinnovamento mentale, di un reset del sistema mnemonico. Dopo poche ore dall’assunzione del siero, avendo solo assaporato le potenzialità̀ del “nuovo corpo” capace di  annullare il senso di colpa del passato, la droga viene rigettata dal vecchio corpo. In quel momento Jim comprende: la sua mente, che non ha subito modifiche, ha attivato un sistema di backup, esattamente come il sistema installato nei computer che tanto conosce, rigettandolo nel suo passato, nella sua vecchia forma.”
Ipernova vuole discostarsi dalla definizione cinema di finzione. Le motivazioni sono politiche, economiche e sociali. Il sistema piramidale cinematografico prevede che la figura del regista sia innalzata rispetto al resto. Si viene a formare un sistema che dall’alto genera una gerarchia verticale. Ai piani bassi, i membri attivi sono partecipi del grande disegno come operatori – lavorati. Praticano lavori di studio, preparazione, messa in scena, il tutto mantenuto da una logica economica: il tempo, l’arte, la manodopera si avvale di costi molto elevati. In base a quanto si è disposti a pagare, si può arrivare ad avere la miglior risposta alla domanda del mercato attuale (immagine ad alta definizione, effetti speciali ecc). Questo generarsi di informazioni inscritte nella struttura del lavoro, mette da parte il contenuto del prodotto che, la maggior parte delle volte, risuona scadente e ripetitivo. Cionondimeno questo è il primo momento storico in cui si assiste ad una contraddizione limpida: il cinema, se da una parte vive il momento peggiore da quando è nato, dall’altra le grandi produzioni (che adesso si estendono anche alla tv) hanno raggiunto i costi più elevati della propria storia. Più costi, meno incassi: il grande macchinario cinematografico vive una contraddizione.
Ipernova ha la pretesa di volersi inserire in quella parte chiamata cinema underground per via della sua natura di sperimentazione.
“Evitiamo di definire le cose sul piano essenziale. Atteniamoci agli effetti. Ci sono dei film di finzione che vogliono darsi l’aria del documentario, che citano tratti stilistici del documentario. Ci sono anche dei documentari che vogliono sembrare dei film di finzione. Sono cosi sopratutto i film del Cinema diretto, film che cercano nella realtà uno o più avvenimenti adatti ad essere riuniti e riassunti in un racconto simile a un intreccio. Esaminiamo i rispettivi effetti del documentario e del film di finzione. Un tratto distintivo importante: la macchina che corre dietro agli avvenimenti, la macchina che conosce già gli avvenimenti e dunque può anticiparli.”
L. Farinotti, B. Grespi, F. Villa, Harun Farocki, Pensare con gli occhi, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2017, p.156
Il progetto del film trova la sua forma nella terza frase di questa citazione, dove Harun Farocki definisce quei film di finzione che prevedono un controllo sui propri usi, sia dal punto di vista della realizzazione da parte della troupe e produzione, che da quello dell’osservazione da parte del pubblico in sala.
In Ipernova il primo elemento comune al film di finzione è la sceneggiatura: adattamento di un romanzo autobiografico con toni di science-fiction. La presenza di attori sulla scena è un altro elemento che somiglia al cinema di finzione ma che serve da prima critica e differenza sostanziale rispetto ad esso: gli attori non sono attori professionisti (anche se questa non è una novità nel cinema controllato). Oltre a non essere attivi nel settore della recitazione cinematografica (ma provenienti da realtà di laboratori teatrali), non hanno dovuto imparare a memoria le battute. Il loro impegno era quello di leggere la sceneggiatura e contestualizzare minimamente la trama. Gli è stata data la libertà di esprimere come meglio ritenevano giusto la recitazione davanti alla macchina da presa (una SonyA7S2, meno invasiva di una macchina da presa cinematografica ma esteticamente più simile ad una reflex portatile).
Un’altra caratteristica che si rifà al postulato del precedente paragrafo: non è stata proposta alcuna ricompensa. Il denaro non è entrato nelle dinamiche del lavoro. Sicuramente i mezzi, purché ridotti, non sono stati reperiti gratuitamente ma non erano all’interno di un piano di produzione. Oltre ai cinque attori e a qualche comparsa, c’erano anche varie persone disposte ad aiutare gratuitamente il procedere delle riprese. Questo ha fatto si che ad Ipernova fosse permesso crescere, svilupparsi ed esprimersi su un piano orizzontale, anziché verticale. Il contenuto vince sulla forma, sull’estetica ma non l’abbandona. Nè richiama un’altra ibrida, una via alternativa che strizza l’occhio ai dettami del cinema di finzione ma data la sua natura orizzontale, osserva tutto quello che ha intorno, di vasto e sconfinato. Non avendo un fine prefissato da perseguire tranne la sua realizzazione spontanea e rimandando sempre un’azione, in atto con il contributo di tutti, pretende di documentare il proprio sviluppo. L’eliminazione del vincolo economico nel quale subentrano una serie di fattori irrilevanti alla riuscita del film, ha lasciato spazio ad altri fattori molto più rilevanti della sua natura: immagini di corpi in movimento, di corpi reali come è il sogno del documentario, di corpi vivi e allo stesso tempo soggetti alle proprie passioni, ai propri bisogni, alla propria psiche. Non alla prestazione del loro saper fare in cambio di denaro per poter sopravvivere. La sopravvivenza cambia supporto, rientra nella volontà di trovarsi lì.

 

Considerazioni sul primo e secondo giorno di riprese

Durante il primo giorno di riprese abbiamo pensato ad una location reale, non costruita o improvvisata. Qualcosa a metà tra il cercare un posto ad hoc e il filmare a casa nostra, nel nostro salotto. Ci serviva un ambiente casalingo in cui il secondo protagonista Umberto Narduzzi potesse vivere i suoi primi minuti all’inizio delle riprese. Jim trovò definitivamente la sua casa al centro sociale Zam, in via Sant’Abbondio, Milano Sud. L’idea mi esaltava molto, lo spazio è stato restituito al quartiere e sistemato 4 anni fa. L’edificio è composto da piano terra, piano inferiore, primo piano e tetto praticabile. L’energia arriva al calar del sole, quando fa buio ed è in grado di alimentare tutto lo stabile. Le riprese erano previste per le 19. Come ogni centro sociale a volte possono capitare degli inconvenienti come il blackout temporaneo della corrente. Il pomeriggio prima delle riprese iniziarono a manifestarsi idee su quello che avrei dovuto fare la sera stessa: quando arrivai, parlai a tutta la troupe della mia intenzione di spostare l’accento e girare come si fa per il cinema documentario ovvero di non utilizzare il campo-controcampo, non assillare gli attori con il ripetere una scena tra due persone e via dicendo. Un primo accenno verso l’abbandono del controllo.
“Ed infine in A proposito di documentario Farocki prende le mosse da una distinzione tanto semplice quanto chiara: “Nei film di finzione – nel film di finzione classico – la macchina da presa anticipa. Nel film documentario segue.” da una parte, dunque, la conoscenza piena della messa in scena, dall’altra l’apertura e la disponibilità all’imprevisto del reale. Da una parte il controllo, dall’altra la contingenza, per usare ancora parole di Farocki.”
L. Farinotti, B. Grespi, F. Villa, Harun Farocki, Pensare con gli occhi, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2017, p.19
Nell’opera di Farocki contingenza e controllo si mescolano. Nel caso Ipernova, assistiamo ad una scelta che produce un’altra via: l’utilizzo della tecnica documentaristica sul supporto sceneggiatura. Durante le riprese abbiamo attuato le caratteristiche dell’inseguimento documentaristico: può accadere qualsiasi cosa “d’altro” durante le riprese.
Un’altra cosa che dissi, forse meno formale, era quella di non smettere di recitare in presenza di problemi esterni. L’unico membro della troupe che poteva interrompere le riprese quando ne sentiva il bisogno era l’operatrice del suono, Alice Bachmann, a meno che non risultasse pertinente anche a lei l’eventuale errore presentato. Altrimenti, pensai, “qualsiasi blackout o persona che entra in campo, qualsiasi eventualità non prevista, non significava uno STOP”. Agli attori è stato esplicitamente proposto di “giocare” con questi accadimenti. Le intrusioni dal di fuori nei set cinematografici, causerebbe l’interruzione immediata della scena, una pausa, ed una ripresa. Abbiamo optato per un sistema di lavoro differente: gli attori potevano, se non addirittura dovevano, improvvisare sulla base dell’imprevisto e con loro, anche l’operatore video e l’operatore audio. È stato chiesto alla parte di troupe che assisteva alla scena senza esser nell’inquadratura di mantenere il silenzio qualora si fosse presentato un impedimento e di lasciar liberamente esprimere la realtà della scena. Questo è uno dei principi sul quale si basa il progetto Ipernova.
I set di finzione sono luoghi asettici, chiusi, in cui le incursioni della realtà sono vietate. L’unica realtà che si può mostrare è quella controllata e inscritta nel copione, ma il copione di Ipernova non è fisso. All’interno di esso si celano infinite possibilità di rielaborazione, riscrittura, fuori controllo, quindi, di contingenza. Potevo evitare di dire questa cosa ma ho preferito comunicarla per evitare che gli attori pensassero di dover fermare la scena in presenza di un imprevisto, o fermarsi imprecando contro la corrente che “va via”. Anche se questo sarebbe stato divertente. Volevo instaurare un accordo verbale in cui chiedevo loro di “giocare” con l’intrusione.  Quando finì di comunicare queste idee venni proprio preso da una sensazione molto strana: impotenza. Il sistema nel quale ero inserito prevedeva un enorme controllo ma i postulati che piano piano uscivano dalla mia testa e venivano fissati con la parola, comunicata alla troupe, mi facevano sempre più cadere in una sensazione di impotenza turbinosa. Poteva accadere veramente qualsiasi cosa. A due ore dall’inizio, mentre filmavo Umberto Narduzzi che si allontanava dal suo vecchio corpo (Vlad Scolari), decisi in un istante di spostare l’inquadratura con un movimento verso sinistra. Così facendo, sarei tornato ad inquadrare il corpo nudo di Vlad, disteso a terra, morto.
In quel momento era in corso un piano sequenza molto lungo ed era un buon take. Lo sapevo mentre lo stavo filmando. La decisione di spostare la telecamera dal centro pulsante della scena, in quel caso Umberto, per tornare sul corpo di Vlad già filmato in precedenza, era un processo di scrittura.
“Questo modo di filmare, sapendo in anticipo che cosa accadrà (film di finzione) o correggendolo subito dopo, corrisponde a due attitudini narrative. Nel caso di film di finzione: noi, il narratore collettivo composto da qualche centinaia di persone, non abbiamo lo stretto controllo sugli eventi, sul racconto. Nel caso del documentario: noi, il narratore collettivo composto generalmente da un pugno di persone, noi non sappiamo che cosa succederà, ma abbiamo abbastanza presenza di spirito per catturarlo. Controllo e contingenza. Nel caso del film di finzione: controllo”
L. Farinotti, B. Grespi, F. Villa, Harun Farocki, Pensare con gli occhi, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2017, p.157
La sensazione che percepì prima di cominciare era fasulla. Stava forse sfuggendo il totale controllo dell’azione che si prestava ad iniziare, una parte rimase ma con una dose forse di contingenza. Quando spostai la videocamera dal soggetto che doveva essere inquadrato mi accorsi che la stavo spostando sull’altro soggetto che poteva essere inquadrato. Inquadrando Vlad Scolari ho voluto scrivere nella narrazione del film qualcosa, che vedrà luce forse solo a film finito. Un ritorno ed una perdita di controllo volontaria. Ora le riprese sono ferme, intanto le operazioni sulla sceneggiatura vanno avanti.

Found footage e voice over

Non amando particolarmente i software per la realizzazione di realtà digitale o effetti speciali, ho optato sia dal punto di vista stilistico sia da quello pratico, l’utilizzo di materiale d’archivio. L’archivio è vivo, libero e deve tornare a comunicare, come insegna Farocki con la restituzione. Sono disponibili online vari siti con infinito materiale, soprattutto in vista di un oggetto che pretende di inserirsi in ambito fantascientifico. L’assenza di effetti speciali prevede che le suggestioni siano innescate solo e soltanto dal montaggio classico in post-produzione di taglia e cuci. Interviste, voice over appartenenti a personaggi reali, immagini dello spazio da parte delle missioni NASA e da privati  sono solo una parte del materiale che sto raccogliendo per il progetto. L’archivio comprende anche quello personale: riprese di repertorio filmate negli anni, tornano a comunicare tramite Ipernova.
L’utilizzo della mia voce fuori campo che legge il testo originale di Ipernova è l’ulteriore punto di contatto tra il reale e la fiction.

IPERNOVA – CAPITOLO 1
FHD, FOUND FOOTAGE, 2018